l sole si levò pigro,
quel mattino, stendendo la sua calda luce rassicurante sulla campagna verde e
rigogliosa, e dipingendo nel cielo mattutino i colori più vividi e brillanti.
Ad ovest ancora ombreggiavano gli ultimi brandelli di tenebra notturna, non
ancora sbiaditi dal calore dell’astro solare dorato e luminoso. La luce gioiosa
dell’alba si stese sulle Colline Ridenti a sud, che digradavano dolcemente
verso la pacifica Pianura Smeraldina, ancora più a sud. Il gorgogliare
argentino del ruscello d’acqua sorgiva di montagna, che circondava l’umile
villaggio, diffondeva nell’aria mattutina un dolce suono, cristallino come le
sue acque che giungevano pure e incontaminate dalle lontane montagne dell’Est,
le cui vette s’innalzavano possenti nel cielo limpido, bucando con le altissime
cime frastagliate le soffici nubi biancastre.
Il villaggio era illuminato dai raggi dorati del sole, e visto da lontano ricordava una perla chiara dei Mari Innevati del Tropico Alindariano, nonostante la distanza con il mare. Le abitazioni rifulgevano nella luce dorata del mattino come rocce bianche, le stesse rocce delle Cascate di Vardallakya, da cui la leggenda narra fosse sorta la Grande Sirena, che aveva portato la saggezza agli uomini delle Terre Medie della Contea di Owwiuksbaumeran Di Sopra.
Il villaggio era illuminato dai raggi dorati del sole, e visto da lontano ricordava una perla chiara dei Mari Innevati del Tropico Alindariano, nonostante la distanza con il mare. Le abitazioni rifulgevano nella luce dorata del mattino come rocce bianche, le stesse rocce delle Cascate di Vardallakya, da cui la leggenda narra fosse sorta la Grande Sirena, che aveva portato la saggezza agli uomini delle Terre Medie della Contea di Owwiuksbaumeran Di Sopra.
Il villaggio era abitato soltanto da
famiglie di contadini: gente semplice e umile che si dedicava con dedizione e
fatica al lavoro nei campi, tramandando l’arte agricola di generazione in
generazione, fin dai Tempi Remoti Dell’Antichità. E così di padre in figlio, di
nonno in nipote, la terra passava di mano in mano, e i campi coltivati
producevano i loro frutti rigogliosi. Le donne aspettavano devote il ritorno
dei mariti, filando la lana e rassettando la casa, e adoperandosi in tutti quei
compiti che si addicono alle brave mogli. E così la vita trascorreva felice e
serena, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, senza che nulla
arrivasse a turbare la serena tranquillità del pacifico villaggio. Soltanto una
volta era accaduto che la guerra giungesse a stendere la sua ombra terribile e
malvagia.
Era stato ai tempi della Prima Guerra del
Grande Terrore Nerissimo Della Notte Buia, quando l’Armata Nera del Male
Primitivo aveva portato la distruzione. Ma, fortunatamente, come narra l’Antica
Leggenda dell’Eroe dell’Alba Divina, il Grande Eroe Arbedol Dell’Alba Divina,
nato dal Fulmine e Dal Fuoco Sacro, aveva riunito le genti del villaggio
attorno a sé, e grazie alle sue incredibili capacità di guerriero, ne aveva
fatto un potente esercito, che, sotto la sua guida, era riuscito ad allontanare
le mire malvagie del terribile nemico e a riportare ancora una volta la
serenità sul villaggio e sulla pianura.
Gli abitanti più anziani ancora ricordavano
l’evento nelle storie tramandate di generazione in generazione, di cui la più
famosa è la Grande Ballata di Erdal il Grande, che narra la vicenda della
Grande Guerra, dalla sua conclusione al viaggio dell’Eroe Arbedol dell’Alba
Divina, che dopo aver cambiato nome in Erdal il Grande, poiché Erdal,
nell’antica lingua del popolo delle pianure nevose significa “grande-guerriero-che-combatte-valorosamente-in-battaglia-contro-il-grande-nemico-malvagio,-vincendo-vittoriosamente”,
lasciò il villaggio e la sua umile gente devota, per ritirarsi in una vita di
solitudine. Il Grande Eroe si diresse quindi verso i confini del Mondo, per
trovare la pace in sé stesso, che troppe guerre avevano allontanato dal suo
animo.
La leggenda narra che il potente guerriero,
giunto nei pressi della Sorgente di tutti i fiumi del Mondo, abbia intravisto
la dolce Eryadonel, divina figlia di Esgardonnel e della ninfa Alifante, mentre
faceva il bagno. Perdutamente innamoratosene, l’eroe chiese alla ninfa di
prenderlo come suo sposo, ma ella fu costretta a rifiutare, a causa di una
terribile e antica profezia che stabiliva che il giorno in cui ella fosse stata
vista da un mortale, avrebbe dovuto abbandonare le Terre Conosciute e salpare
verso il Limite del Mondo, per raggiungere finalmente la sua dimora divina che
l’avrebbe accolta per l’eternità. L’eroe la pregò di restare, le promise mari e
montagne, prezzemolo e rosmarino, ma ella rifiutò, pur essendosene follemente
innamorata, sapendo che se avesse ceduto al cuore, il mondo sarebbe crollato
nel caos e nella rovina più oscura.
E le tristi parole che i due innamorati si
scambiarono quel giorno rimasero in eterno a riecheggiare nella valle, ai piedi
della cascata, e sono state scritte da Odelon il Bardo degli Dèi Superiori,
nella Ballata Epica della Leggenda della Triste Vicenda d’Amore e Disperazione
di Erdal ed Eryadonel la Splendente Stella della Sera:
«O amato, o sospirato
amore»
Ella s’appella con
dolorose parole,
«anch’io desidero il tuo
cuore,
ma ahimè il Fato crudele
e senza prole
mi riserva un più grande
dolore
di qualsiasi sopportazione
mortale»
«Ma Stella Splendente,
Aurora della Sera,
Luce del mio Tramonto,
Acqua che rinverdisce le
pianure,
sole dei miei occhi,
io ti amo» grida Erdal
l’Eroe.
«Ti amo come un musico
E il suo strumento,
come la terra arida la
pioggia,
come la notte ama la
luna.
Io per amor tuo posso
portarti la luna»
«Ahimè, mio eroe. Ignori
il mio dolore nel
lasciarti.
Come la luna abbandona
la notte,
rincorsa dal sole
ardente del mattino,
così anch’io stessa
fuggo dall’amore tuo,
‘sì bruciante, che mi
abbaglia
E mi fa impallidire.
Ma non per scelta
o per paura,
ma per terribile destino
io fuggo dal tuo
abbraccio.
E piango. Piango
come la pioggia d’estate
che scende dal cielo
a ridare vita alla terra
arida
e desolata.
E così io spero il mio
pianto
e il mio dolore,
tramutino
il destino mio avverso
in gioia e vita per
altri.
Ora ti lascio e più non
mi trattengo,
per non soffrire oltre
il dolore
per la separazione.
Addio mio amato.»
«No, non andare!»
Ma le parole vane
riecheggiano vuote
nel buio.
E fu il silenzio.
E mai più i due si
rividero
né in vita né
oltre.
Il giovane Tim ancora non si vedeva
all’orario stabilito, e il saggio Santalf iniziò a spazientirsi.
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