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"In un presente non troppo lontano, una caccia spietata ha portato la Balena grigia sull'orlo dell'estinzione. Forse esiste ancora una speranza: l'ultima Balena. Toccherà a Frank, Karen, al vecchio Inyoshedo e ad altri inaspettati eroi il compito di salvarla. Riusciranno nell'impresa?"

sabato 5 novembre 2016

V. In marcia!


l sole si levò leggiadro sulle Terre di Lènvrakul, disperdendo le scure ombre della notte. Una tenera nebbiolina si stendeva indistintamente sulla campagna ridente e… Oh, lasciamo perdere.
Tim si svegliò di soprassalto, scosso da quel verdeggiante cespuglio di rose che era Sent.
«Sent, sono sveglio, sono sveglio, perdinci! E stai attento che mi graffi tutto, con quelle spine appuntite!» Il giovane Tim umile orfano figlio di oste si stropicciò gli occhi, e sbadigliò della grossa. «Mi sono perso qualcosa, mio caro Sent? È già ora di partire? E dov’è il vecchio Santalf» aggiunse sgomento, guardandosi attorno. Gli altri membri della masnada si stavano svegliando anch’essi dal loro profondo sonno, ma del druido non v’era alcuna traccia.
    Il verdeggiante Sent gli porse un pezzo di pergamena ingiallita.
    «Oh, è un messaggio di Santalf. Ma… Ma io non so leggere le antiche rune druidiche!» esclamò con stupito disappunto, occhieggiando le indecifrabili lettere nere impresse sulla pergamena con timore reverenziale frammisto a incontenibile sbigottimento.


Passarono alcuni minuti prima che il rigoglioso Sent si decidesse a rigirargli il frammento di pergamena fra le mani.
    «Cos-? Oh, era storto! Grazie, mio prode Sent, senza di te non so davvero che farei.»


Caro Tim, umile orfano figlio di oste, non ho osato svegliarti: il viaggio che hai davanti sarà lungo e difficile, e hai bisogno di ogni oncia di energia che possiedi. Gli altri ti spiegheranno man mano quello che abbiamo concordato mentre russavi di gusto. Ti auguro un buon viaggio. Ci rivedremo ad Eppendelf fra qualche tempo, non temere. Che la via ti sia piana e la birra di conforto, Santalf.
  
P.S: In caso di estremo pericolo, ricordati di recitare la filastrocca del viandante: “Sono un viandante, non un brigante, non farmi del male, brutto maiale! Sbarbarachicchio ciccialabuccia tamperadùm!”. In questo modo ti sarà salva la vita. Spero.


 Il giovane Tim era perplesso, ma non si diede troppi pensieri, poiché era un umile orfano figlio di oste, e non era avvezzo alle riflessioni. Restituì la pergamena a Sent, il quale la fece sparire con un guizzo nei recessi dell’arboreo cespuglio che lo occultava. La Masnada nel frattempo aveva raccolto armi e bagagli, ed era pronta a partire.
    «Bene, masnada di malnati!» li apostrofò Sparviero, con cipiglio autoritario. «Siamo pronti a partire per questo periglioso viaggio da cui non tutti torneranno interi. In marcia!, e che la fortuna ci assista.»
    E così la nostra raffazzonata masnada iniziò la lunga marcia verso il suo destino, mentre il sole si alzava tremebondo nell’azzurro cielo mattutino, accompagnato dai cinguettii sinceri ed amabili delle cinciallegre minori e degli avvoltoi reali, che si affollavano schiamazzanti sopra di loro per augurare la buona sorte ai viandanti solitari che attraversavano le terre desolate di quella regione deserta e morente.


«Masnada, alt!» ordinò perentorio Sparviero, alzando un braccio, con tono di chi non ammette repliche perché detiene l’autorità suprema del gruppo, in quanto guida e temibile guerriero, ma soprattutto è in possesso dello spadone più grande che mai sia stato veduto nella Terra di Lato.
    Tim si fermò, Sent gli finì addosso, la capra si fiondò sul cespuglio trascinandosi dietro il vecchio, i due bestioni vichinghi non si fermarono perché non avevano sentito dal fondo della fila l’ordine di arrestarsi (o forse perché non l’avevano capito), finendo con lo spingere tutta l’allegra masnada addosso a Sparviero, che capitombolò a terra in un gorgoglio strozzato.
    Si rialzò sputacchiando, scrollandosi di dosso terra e foglie di rosa. «Fate attenzione, per Barbasecca! Quando do un ordine dovete rispettarlo subito, e in modo ordinato possibilmente. E ora montiamo il campo per la notte. Ognuno al proprio posto, forza, forza!»
    La masnada si rialzò mugugnando, e con cupi brontolii e sbuffi svogliati si apprestò ad eseguire gli ordini dello Sparviero, sotto il suo sguardo truce e autoritario.
    I due massicci gemelli nordici iniziarono a tentare di montare le tende, che avevano estratto dai pesanti zaini che avevano portato sulle spalle; Gravon il Nano si adoperò per recuperare della legna per il fuoco, con fare sprezzante; il vecchio e la capra rimasero in un angolo, immersi in un silenzio assorto, a sbavare e brucare erba rispettivamente.
    «Che cosa possiamo fare, messer Sparviero?» chiese timoroso Tim, desideroso di poter dare il suo umile contributo.
    «Voi potete starvene lì zitti e buoni, senza rompere le scatole a nessuno con le vostre domande impertinenti.»
    «Vi chiedo scusa, o possente guerriero. Ero soltanto desideroso di poter dare il mio umile contributo di umile orfano figlio di oste…»
    «Figlio di oste hai detto?»
    «Umile orfano. È “umile orfano figlio di oste”» lo corresse Tim, puntiglioso ma umile.
    «Orfano? Orfano? Orfano figlio di oste?»
    «Umile. Umile orf-»
    «Come potete essere orfano se vostro padre è un oste?» sbottò indispettito Sparviero.
    «Vedete, a prima vista può sembrare difficile da capire, ma se ci pensate bene…»
    «Oh, lasciamo perdere. Non sono mai stato bravo in queste cose di ragionamento.» Il guerriero si grattò la fronte, confuso. «Quello che intendevo dire è che se siete orfano di oste… ehm, voglio dire, umile figlio… umile oste… oste di orfano…»
    «Umile orfano figlio di oste.»
    «Quello. Se siete imparentato con un oste, anche alla lontana eh, allora vuol dire, correggimi se sbaglio, che magari te ne intendi un po’ di quelle cose che fanno gli osti.»
    Tim lo guardò di rimando, confuso.
    «Sì, insomma, saprai fare le cose che fanno gli osti, osteggiare e cose così.»
    «Non capisco dove volete arrivare» mormorò cauto Tim.
    «Cucinare» grugnì Sent dai recessi del suo cespuglio.
    «Ah, volete che prepariamo la cena!»
    «Sì, era quello che intendevo. Dato che qui nessuno è bravo ai fornelli, o dovrei dire ai fuochi, dato che nel mondo in cui è ambientata questa storia i fornelli non esistono, pensavo che potreste offrirvi come cuochi della masnada.»
    «Sarà un piacere cucinare per tutti voi!» esclamò Tim entusiasta «Non lo credi anche tu, mio simpatico Sent?»
    Il cespuglio di rose frusciò nella brezza, confermando il suo assenso.
    «Finora il cuoco è stato Harold, ma con scarsi risultati» disse Sparviero con faccia disgustata. «Il brodo di radici essiccate è ormai entrato nella leggenda. E non per la sua bontà, si capisce.»
    Tim si voltò a guardare il vecchio, seduto silenzioso su un ceppo, con le braccia conserte. Un filo di bava gli colava da un angolo della bocca, imbrattandogli la pelle incartapecorita e la barbetta pulciosa,  una goccia di muco giallastro e pulsante faceva allegramente capolino dalla narice sinistra. Uno sguardo vuoto, nebuloso, lo fissò di rimando. «Gghhhh hhhh» gorgogliò quieto.
    «Mi sembra… Mi sembra un tipo a posto…» disse Tim, portandosi le mani alla bocca per trattenere un conato.
    «Chi, Birga? Oh, no, io veramente parlavo di Harold, la capra.»



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